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CONFUCIANESIMO
Dottrina filosofico-religiosa cinese la cui fondazione
si fa tradizionalmente risalire a Confucio. L'insegnamento
del maestro, di fronte agli sconvolgimenti politici e sociali che avevano
stravolto le antiche istituzioni zhou, tendeva a ristabilire un
comune sistema di valori e a rifondare un ordine universale che, risalendo
ai vecchi principi e ricuperando le antiche istituzioni, tenesse conto
della nuova realtà. Il suo messaggio, i cui punti fondamentali
erano il concetto di rito (li), codice di comportamento basato
sulle norme consuetudinarie, la cosiddetta "rettificazione dei nomi" e
la rivalutazione dei modelli insiti nella tradizione degli antichi, venne
raccolto e rielaborato alla sua morte dai suoi discepoli che diedero vita
a numerose correnti, ciascuna delle quali tendeva a sottolineare alcuni
aspetti dell'insegnamento del maestro. In particolare fra questi assunsero
un'indiscussa autorità Mengzi (372-289 a.C.) e Xunzi (289-238 a.C.).
Alla base della dottrina di Mengzi v'era la concezione della bontà
innata della natura umana, e quella del Mandato celeste (se il sovrano
veniva meno ai suoi compiti, avrebbe automaticamente perso il diritto
di governare, e il Cielo gli avrebbe tolto il mandato). La sua rielaborazione,
che nel neoconfucianesimo sarebbe divenuta basilare, trovò molti
oppositori non soltanto nelle scuole non confuciane, ma anche all'interno
del movimento che si riconosceva in Confucio. Xunzi, in contrapposizione
col primo e con lo stesso Confucio, sostenne la sostanziale malvagità
della natura dell'uomo, dalla quale egli può essere riscattato
soltanto attraverso l'opera della civiltà, l'educazione, i riti
e le leggi. Xunzi sottolineò anche un altro aspetto che sarebbe
rimasto basilare nel confucianesimo posteriore, vale a dire l'autorità
dei testi canonici. A causa dell'asserita malvagità originaria
dell'uomo, gli insegnamenti degli antichi saggi, incarnati dai classici,
sarebbero divenuti la fonte indiscussa del bene e della morale. Sul piano
politico il confucianesimo metteva in primo piano il cosiddetto "senso
di vergogna", secondo quanto è affermato nei Dialoghi (Lunyu),
uno dei testi canonici: Se il popolo è regolato dalle leggi, e
l'uniformità è ricercata attraverso la punizione, esso cercherà
di evitare la punizione, ma non sentirà alcun senso di vergo-gna.
Se esso è invece guidato dalla virtù, e l'uniformità
è ricercata attraverso le norme di buon comportamento e attraverso
i riti, il popolo coltiverà il senso di vergogna, e quindi migliorerà.
Da qui la rilevanza attribuita alla scelta degli uomini di governo e all'esempio
morale, specie di coloro che erano considerati le "personalità
modali". In contrapposizione con la scuola legista, che prevedeva
un solo ordinamento valido per tutti, basato sulla legge scritta, il confucianesimo
ammetteva la divisione della società in due livelli, quello degli
"uomini superiori" (funzi), che avevano interiorizzato la morale
e i riti, e quello, inferiore, della gente comune, per la quale era necessaria
la legge penale. Il confucianesimo si differenziava anche dalla scuola
dei moisti (Libro del maestro Mo, V secolo a.C.) per l'importanza
attribuita ai riti, lo scarso interesse verso il fenomeno religioso, la
graduazione sociale e familiare degli affetti (in contrapposizione all'"amore
universale" dei moisti). Il confucianesimo antico, sopravvissuto alle
trasformazioni sociali, politiche ed economiche seguite alla fine degli
Stati combattenti e alla decadenza delle Cento scuole, si arricchì
del contributo delle teorie legiste e di quelle cosmologiche e, dopo la
dissoluzione della scuola legista, divenne sotto la dinastia Han (206
a.C. - 220 d.C.) l'ideologia ufficiale dell'impero cinese (136 a.C.).
Con l'istituzione dell'Accademia imperiale (125 a.C.), si diede avvio
alla ricostruzione filologica e allo studio rigoroso dei testi classici
del confucianesimo, in gran parte dispersi e corrotti. Nella controversia
che sorse fra la Scuola del testo antico e la Scuola del nuovo testo,
che finì per prevalere, si distinse Dong Zhongshu (179-104 a.C.),
esponente di quest'ultima. Questi affermò il principio dell'autorità
imperiale, inquadrandolo in un ordine universale, alla luce dell'antica
concezione cinese della corrispondenza fra ordine umano e ordine naturale.
Il decreto del 59 d.C. dell'imperatore Mingdi degli Han, che impose l'obbligo
a tutte le scuole di celebrare sacrifici in onore di Confucio e del Duca
di Zhou, segnò l'inizio del culto ufficiale di Confucio. Gli imperatori
Tang, poi, riprendendo forse una pratica iniziata nel V secolo, istituirono
veri e propri templi in onore a Confucio e ai personaggi più elevati
della storia cinese. Un'ulteriore sistemazione dottrinale venne con le
riforme ideologiche di Wang Anshi (1021-1086) che si propose di elevare
al rango di "tradizione ortodossa" (daotong) la "vera via" di Confucio
e di Mengzi (Kong Meng zhi Dao). Nel 1084 Mengzi fu ammesso al
tempio di Confucio e, fra il 1104 e il 1113, la stessa sorte toccò
a Wang Anshi e a suo figlio. L'esclusione e condanna di Wang Anshi non
modificò tale tendenza che, fatta propria dal neoconfucianesimo,
fu sanzionata alla fine della dinastia Song (1241) con la formalizzazione
della "trasmissione ortodossa" da Confucio a Zhu Xi e negli anni 1313-1315,
sotto gli Yuan mongoli, con l'inserimento
dei Quattro Libri selezionati da Zhu Xi e dei suoi commentari nel
piano degli studi per gli esami di stato (esami imperiali in Cina).
P. Santangelo

L. Lanciotti, Che cosa ha veramente detto Confucio, Ubaldini, Roma
1968; M. Sabattini, P. Santangelo, Storia della Cina, Laterza, Bari
1989; P. Santangelo, Confucio e le scuole confuciane. La via della saggezza,
Newton Compton, Roma 1986; M. Scarpari, La concezione della natura umana
in Confucio e Mencio, Cafoscarina, Venezia 1991.
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